«La cultura italiana perde un grande protagonista. Io personalmente perdo un grande amico». Sono queste le prime parole di Carlo Petrini, ancora incerte per la commozione, nell’apprendere della scomparsa di Gianni Mura, uno dei più grandi giornalisti del mondo e scrittore.
Uomo colto e onesto, coerente e generoso. Grande amico di Slow Food, diceva spesso che era l’unica tessera che aveva in tasca. «Ho conosciuto Gianni alla presentazione della Guida Osterie d’Italia nel 1989 a Milano. In sala era con un altro fuoriclasse del giornalismo: Gianni Brera. Da quell’incontro è nata un’amicizia che ha segnato anche un po’ la storia del nostro movimento. Aveva una capacità di lettura della realtà straordinaria, si poneva nei confronti degli altri con massima disponibilità e apertura. Questo lo ha avvicinato in modo armonioso e spontaneo al mondo contadino, ai produttori di vino che tanto amava, e ai cuochi dei quali gli piaceva raccontare non tanto e non solo le ricette ma la loro anima. Passioni che ha condiviso con la moglie Paola alla quale va un mio grande abbraccio».
DA GASTRONOMO ERA CONTRO LE MODE CHE HANNO ATTRAVERSATO LA CUCINA, PREDILIGEVA QUELLA POPOLARE E SCHIETTA. DOVE IL CUOCO TRASFORMA CON MAESTRIA QUELLO CHE I CONTADINI, GLI ALLEVATORI, GLI ARTIGIANI DEL LUOGO GLI PORTANO. LA CUCINA COME MANIFESTAZIONE DELL’AMORE VERSO LA TERRA E I SUOI FRUTTI.
Forse era per la sua straordinaria abilità di usare le parole, di giocare con esse, di andare oltre l’ovvio, ma mai sopra le righe, per la sua capacità di ascoltare, il suo non usare la parola “io” (dote rara nei giornalisti), per la sua onestà intellettuale (era uno con la schiena dritta) se Gianni Mura è stato letto e amato veramente da tanti, anche da chi non si interessava di gastronomia e sport.
Leggerlo era come averlo di fronte, seduti a tavola con un bicchiere di vino. Rivivevi le gesta di un calciatore o la stronzaggine di certi frequentatori di stadi, o la grandezza umana di un atleta o i paesaggi del Tour de France, un altro suo grande amore. Nei sui pezzi non c’era solo la corsa, ma ci trovavi un riferimento alle albicocche del midifrancese, o ai vini della Loira, o alla brasserie delle città che i ciclisti toccavano: quasi un tentativo di ricreare casa, i suoi punti fissi in ogni tappa.
Sicuramente uno dei suoi posti del cuore erano le osterie. Non solo un luogo dove mangiare, anche se Gianni era un buon gourmet e curioso scopritore di produttori e prodotti, ma anche dove incontrare persone, magari giocando a carte: «Veniva spesso qui – racconta Angelo Bissolotti dell’Osteria del Treno di Milano e amico da oltre trent’anni di Gianni -. Ricordo partite memorabili con il Piva, che battezzò il Pelé della scopa liscia, il Natalino e il Richetti». Gente del quartiere che frequenta l’osteria perché, come sottolinea Petrini: «Il legame forte con la Milano proletaria, quella più autenticamente popolare, con la Milano dei valori della socialità, Gianni l’ha sempre accudito e portato avanti». Perché Gianni era un uomo del popolo, voleva bene ai perdenti e detestava gli arroganti.
Gianni Mura, come pochi, ci ha dimostrato che non ci sono parti nobili e parti meno nobili in un giornale, ma che ci sono giornalisti che sanno fare il loro mestiere con amore, siano essi sportivi, gastronomici o politici. I suoi articoli vanno oltre la cronaca, ti trasmettono la voglia di essere in quei luoghi e di partecipare all’evento. Lo stadio, le strade del Tour o le osterie diventano un palco per raccontare anche altro: una società che cambia, persone grandi nel loro quotidiano, paesaggi che emozionano.
UNA DELLE COSE TERRIBILI DI QUESTI GIORNI È NON POTER STARE VICINO ALLE PERSONE CHE SI AMANO NEL LORO ULTIMO PASSAGGIO IN QUESTA VITA, MA POSSIAMO RICORDARE GIANNI APRENDO UNA BUONA BOTTIGLIA DI VINO E BEVENDO UN BICCHIERE DEDICATO LUI. FORSE LUI AVREBBE VOLUTO COSÌ. PROSIT.
Valter Musso
v.musso@slowfood.it